Il partigiano Fenoglio

di | 12 Ottobre 2013

[pubblicato sull’Unità del 9 ottobre 2013]

FENCome un prezioso patto di intimità tra marito e moglie, da non offrire in pasto alla stampa per nessuna ragione al mondo, la signora Luciana Bombardi, titolare di una storica pellicceria nel centro di Alba, aveva custodito quel segreto per tutta la vita, nascosto tra le pieghe di un lenzuolo. La vedova Fenoglio, donna delle Langhe che coltivò con austerità il mestiere di custode dei ricordi privati di un gigante della letteratura del Novecento, aveva lasciato che fosse la sua unica figlia a ritrovare quei due oggetti così pregni di forza simbolica, mai dichiarati, e a sceglierne il destino.

Liberando la casa occupata dalla madre fino alla sua morte, avvenuta nel novembre scorso, Margherita Fenoglio ha frugato in quell’armadio e svolto il tessuto del lenzuolo. «Le ho trovate ad agosto, in un armadio colmo di coperte e copriletti. Verso il fondo, ho sentito che c’era qualcosa di solido: al comparire della sagoma del fucile, ho capito subito che si trattava delle armi di mio papà». Della cui esistenza nessuno, a parte sua madre, era a conoscenza: «Mia mamma era una persona molto riservata, ma non credevo così tanto… In fondo, però, credo che le abbia considerate non come le armi dello scrittore, ma come quelle del marito. E poi, sapendo che non erano state denunciate, forse temeva che qualcuno potesse portargliele via. Quando le ho viste ho avuto un tuffo al cuore». Un fagotto azzurro celava una carabina M1, calibro .30, marca Underwood; al suo fianco, una pistola modello Colt 45 automatica, infilata in un cinturone verde di fattura britannica.

Sono le armi del Beppe Fenoglio combattente nella Seconda guerra mondiale, macché, del Milton di “Una questione privata”, quelle che l’autore portò a casa e nascose, per sempre, alla fine del conflitt. Fenoglio desiderava e ottenne, sulla sua lapide, di avere «le due date che sole contano e la qualifica di scrittore e partigiano», sembrandogli «d’aver fatto meglio questo che quello»: ora sarà un po’ più facile non considerarla uno schermirsi, una boutade d’artista. La notizia, diffusa a dispetto degli intenti di riservatezza di Margherita Fenoglio, ha scatenato l’inseguimento al riferimento letterario; un lavoro non così arduo, peraltro, per i cultori dell’antiretorico Fenoglio, cui venne anche rinfacciato nel dopoguerra un inesistente vilipendio della Resistenza, per averne sdoganato con onestà anche gli episodi in chiaroscuro e gli aneddoti grotteschi, come i “cento carnevali” delle divise raffazzonate dei partigiani durante la brevissima riconquista della capitale delle colline piemontesi del vino, narrata nei “Ventitré giorni della città di Alba”.

Una carabina made in Usa e una Colt: era quello l’equipaggiamento del soldato Milton, badogliano il cui rifornimento bellico era garantito dai lanci degli alleati; nel racconto fenogliano si legge del capo della brigata Garibaldi (Hombre) che stigmatizza le scarse prestazioni dell’arma lunga statunitense rispetto al loro Sten, il mitra a canna corta fabbricato dagli inglesi e utilizzato anche dai combattenti italiani contro i fascisti nelle Langhe. Ma Milton ha una signora pistola, della forza dirompente: «E quella è la Colt. Prendete la foto alla Colt. Non è una pistola, è un cannoncino. È più grossa della Llama (un revolver spagnolo in uso negli anni Quaranta, nda) di Hombre. È vero che spara i medesimi colpi del Thompson?».

Ora sappiamo che quelle compagne di battaglia, l’Underwood e la Colt, non si materializzavano come parto di eterei ricordi di guerra di Beppe Fenoglio,la cui carriera partigiana nacque dopo l’armistizio dell’otto settembre con l’adesione alla brigata monarchico-badogliana di Mango, quella degli “azzurri”. È probabile, invece, che quel fucile e quella pistola sia tornato ad accarezzarli per davvero, insieme ai tasti della macchina da scrivere; magari, anche solo per stimolare l’ispirazione al racconto, in quel tormentato e affannoso atterraggio nel dopoguerra, in tempi in cui  – come fa dire all’Ettore di “La paga del sabato” – viveva con smarrimento il ritorno a un’esistenza da cittadino comune: «Io non mi trovo in questa vita, perché ho fatto la guerra».

Il Fenoglio partigiano finì la guerra senza uccidere, giacché non risultano – neanche negli ultimi mesi di guerra, quando agì da ufficiale di collegamento e interprete con il contingente inglese di stanza nel Monferrato – azioni riconducibili direttamente al fuoco dell’artiglieria personale. Che oggi sappiamo essere un’altra figlia di quel mondo anglosassone in cui lo scrittore aveva trovato l’humus della sua lingua romanzesca, il fenglese che si ritrova ne “Il partigiano Johnny”. Ecco, Johnny: nella versione (incompleta) in lingua inglese del suo romanzo più celebre, postumo e incompiuto, Beppe Fenoglio fa imbracciare al partigiano Johnny «a brand new carbine», una carabina nuova di zecca: oggi sappiamo che, con ogni probabilità, quell’arma era proprio il suo M1, che gli faceva silenziosa compagnia a pochi passi dallo scrittoio.

Margherita Fenoglio ha consegnato le armi alle autorità: «Una volta disattivate, le affiderò al Centro studi intitolato a mio padre. Voglio che tutti coloro che lo desiderano possano condividere l’emozione di vederle». Il fucile e la pistola di Milton: due bocche di fuoco, potenti come la sua penna.

2 pensieri su “Il partigiano Fenoglio

  1. andrea

    Belle righe scritte con sapienza ,mi ricordano l antiretorica e l antieroismo di Meneghello, oppure con la paga del sabato, il ponte della ghisolfa di Testori con rocco e i suoi fratelli, oppure il periodo farcito di ideali antagonisti del dopo 8 settembre, con Rimanelli Tiro al piccione, o diversamente U. Bertoli con la quarantesettesima. Ecco con Bertoli trovo varie analogie , ambedue con il loro lessico letterario. Non vado oltre per non perdermi, complimenti Federico , mi piace come scrivi

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