Lo chef coraggio che ha cucinato la mafia

di | 4 Febbraio 2014

[pubblicato sull’Unità del 2 febbraio 2014]

natale giuntaTermini Imerese, anni Ottanta. La Fiat è sbarcata da un decennio e illude, sembra voler innestare un polo dell’automobile nell’estremo sud. In paese cresce Natale Giunta, siculo di padre, con mamma greca: per lui niente turni in fabbrica o macchinine di metallo. Il suo asilo è la cucina della zia, i soldatini prendono le forme morbide di un cucchiaio e una forchetta, per assaggiare i piatti del Dodecanneso.

Commerciante ci nasci, ma nascere a venti chilometri da Palermo è come caricarsi un secondo peccato originale. Natale lo scoprirà più avanti: finisce le scuole dell’obbligo, si butta nelle braccia dei professori della cucina, alla scuola alberghiera. Intanto lavora, per mantenersi, e sogna Venezia: «Chioggia, per la precisione, la Boscolo Etoile Academy». È la Normale dell’enogastronomia, entri senza un’arte e puoi uscirne chef. Guai, però, a chiamarlo così: «Ma no, io sono un cuoco. Adesso tutti ambiscono a fare gli chef. Io cucino del cibo e mi sporco le mani, sto in cucina. Sono solo un cuoco». Ma un cuoco particolare: a 19 anni apre il primo ristorante, lo prende in gestione. Non gli basta. A poco più di vent’anni, inaugura il Nouvelle Cuisine a Termini. Piace, è esuberante, di qualità smaccata. Poi un secondo locale, poi una società di servizi. Oggi ha 50 dipendenti, uno showroom in centro a Palermo, in via Albanese, un catering con punto bar al Teatro Massimo, la mensa al porto di Palermo. E il gioiello, il Castello a Mare con vista sulla Cala, inaugurato da un anno, dopo il recupero di uno dei tesori di città lasciati in pasto all’incuria.

Per qualcuno, quel tanto era troppo. «Un giorno mi telefona un conoscente, che aveva già avuto a che fare col mio servizio catering. Prende appuntamento. Mi si presenta negli uffici un signore sui settant’anni, accompagnato da un altro sconosciuto. Sapevo benissimo dove volevano andare a parare». Già, perché il trasferimento della fetta più grossa dell’attività dal paese alla città aveva portato con sé strani quesiti: ti sei informato sui permessi? Hai preso informazioni sulle autorizzazioni? «Non ci è voluto molto per capire che non si riferivano alla burocrazia del Comune o dell’Asl… Il signore era un boss di quartiere. Mi ha chiesto senza giri di parole il pizzo, facendomi notare che per loro interessamento si era già evitato che qualcuno mi facesse del male». Natale Giunta ha sistemato la sede in via Libertà. È troppo giovane per ricordare Libero Grassi, l’imprenditore tessile ammazzato a Palermo da Cosa Nostra per aver denunciato il racket, ma quell’ideale con la lettera L scorre in un sangue che non ha alcuna intenzione di versare in cambio di una medaglia d’oro postuma: il cuoco si ribella. «Li ho mandati via all’istante, ho pure scherzato: non avevo soldi per me dopo gli investimenti, figuriamoci per loro. Denuncia immediata, ci mancherebbe. Dopo nove mesi di indagini mi fanno sapere degli arresti, tempo tre giorni e arriva la scorta». E la vita non è più lei, anche se mamma Rai lo ha reso famoso a tutte le casalinghe d’Italia con La prova del cuoco: fama o no, la signora Giunta è terrorizzata. Ogni tanto Natale la sorprende con gli occhi umidi, mentre riguarda qualche ritaglio di giornale che racconta del figlio eroe. «Ma non sono un eroe, ho fatto quello che dovevo: non ci sto, a darla vinta a questa gente». Qualche sconsiderato ha pure fatto ironia sul macchinone che lo porta in giro, sull’auto dei carabinieri sempre lì, a controllare che durante la passeggiata non gli abbiano piazzato dell’esplosivo in casa. Eppure, se c’è una parola efficace per chi vuol fare affari onestamente a Palermo, quella parola è impresa. La piovra, si chiamava così negli anni Ottanta, è sempre la stessa: se non ti chiede il pizzo, prova a farsi assumere un parente, un controllore. «Ma la mia felicità – dice accendendosi di orgoglio – è che da quando questa storia è diventata pubblica, non uno dei miei dipendenti ha dato le dimissioni. Sa quanti imprenditori sono stati lasciati soli, dopo aver bussato in caserma?»

Natale Giunta ha il buonumore di chi ce l’ha fatta: a 35 anni, sta per approdare a Miami, vuole lanciare un marchio di prodotti al 100% siculi. Ce l’ha col sindaco che non riconverte la zona industriale in polo agroalimentare, si scandalizza a sentire che a Cefalù comprano le sarde dalla Spagna, perché in Sicilia sono fuori mercato, «però sprecano soldi per le associazioni di promozione del pesce azzurro, poi vado al mercato, io che sono siculo, e mi ritrovo le arance della Tunisia». Tra una lezione di showcooking, la tivù e un turno al ristorante per sposare il pistacchio col gambero rosso, sale a Palazzo di giustizia, oggi un incidente probatorio, il 7 febbraio una testimonianza. Antonino Ciresi è il boss che gli ha chiesto i soldi. Gli altri si chiamano Maurizio Lucchese, Alfredo Perricone, Giuseppe Battaglia, Giovanni Rao. Sembra quasi scocciato, quando ne parla: come una lite condominiale da nulla, una seccatura. Giunta non ha tempo da perdere, men che meno con la malavita: ci vuol poco per capire che è proprio quel coraggio solare, quello sberleffo incosciente alla mafia che fa di un cuoco un piccolo eroe.

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