La fine senza un perché (o quasi) del professor Klinger

di | 31 Gennaio 2017
Il marciapiede su cui era parcheggiata la Panda del professor Klinger

Il marciapiede su cui era parcheggiata la Panda del professor Klinger

In questo fazzoletto di marciapiede, il 18 febbraio di 25 anni fa, venne ucciso il medico dell’Inter, il professor Klinger. Roberto Klinger era un medico eclettico: luminare di diabetologia della clinica Humanitas, pittore per diletto, consulente della grande Inter di Facchetti e di Helenio Herrera. amato dai pazienti. Tranne uno: l’uomo che lo aspettò quel mattino sotto casa e, mentre il professore entrava nella Panda – lasciata sul marciapiede per rituale del lavaggio strade del giovedì – gli sparò addosso tre colpi di pistola.

La Procura si dannò l’anima per cercare il colpevole ma niente, non ci furono santi. L’unico indagato per il delitto di via Muratori fu un collega di Klinger, il professor Alessandro Luca Pieretti. Un tipo – dissero alcuni colleghi – strano, amante delle armi. Un medico con un faldone di specializzazioni (sette!), laureando in Legge e un con carattere talora irruente. Pieretti, secondo gli inquirenti e soprattutto dopo la denuncia di un suo collega, aveva un movente: ce l’aveva con Klinger perché temeva che non avrebbe testimoniato a suo favore in una causa civile intentata per un intervento chirurgico mal riuscito, per il quale aveva intentato una causa da tre miliardi di lire alla clinica stessa. Di più: dopo essere stato accusato di aver fatto sparire alcune cartelle, Pieretti era stato prima sospeso e poi spostato alla biblioteca dell’istituto ospedaliero.

Pieretti non fu mai rinviato a giudizio, anche perché il suo avvocato, l’illustre Armando Cillario (tra i suoi clienti il solista del mitra, Luciano Lutring) si inventò una strategia difensiva geniale: scoprì che un abitante del condominio di Klinger era fisicamente somigliante al professore e ipotizzò lo scambio di persona. Klinger sarebbe stato freddato perché il vero bersaglio dell’agguato era il padre di un ragazzo che, in Sicilia, aveva ricevuto minacce dalla mafia per essersi rifiutato di piegarsi a una richiesta di “pizzo”. Solo che neanche Pieretti era d’accordo con questa strategia difensiva, tanto che l’avvocato finì per rinunciare al mandato ma, nel mentre, aveva ottenuto dalla Cassazione che non venisse applicata al suo cliente la custodia cautelare. Gli elementi a carico dell’unico indagato non furono mai ritenuti sufficienti per aprire un procedimento penale; in particolare, c’era la testimonianza di un ragazzo che aveva riconosciuto per due volte (in fotografia e poi nel corso di un confronto) il dottor Pieretti come quell’uomo “sui 50 anni, altro un metro e 90, con spessi occhiali da vista” che, in un paio di occasioni nei giorni immediatamente precedenti il delitto, era stato da lui osservato fermo al semaforo, mentre fissava il palazzo in cui abitava Klinger senza mai attraversare la strada. Il giorno dell’omicidio, l’indagato aveva timbrato il cartellino a un orario anomalo, le 6.57, e non come solitamente avveniva, dopo le 8. In più, venne considerata indiziante anche la circostanza che Pieretti, qundo si era fatto accompagnare da un conoscente a fare le condoglianze alla famiglia in via Muratori, aveva consultato palesemente e ossessivamente lo stradario, tanto da indurre il guidatore a confidare agli inquirenti che gli era parso lo avesse fatto di proposito, per rimarcargli che lui non conoscesse il luogo in cui la vittima viveva.

Il caso Klinger si raffreddò, ormai non se ne parla più ed è destinato a rimanere irrisolto perché, differenza di cold case riaperti grazie ad analisi del Dna o all’utilizzo di nuove tecniche investigative, qui purtroppo non c’è nulla su cui lavorare: non un reperto, non un filmato, non un elemento da scoprire. Un processo indiziario a carico dell’indagato era destinato al fallimento allora, oggi sarebbe totalmente insensato.
Soltanto una lettera: venne spedita, tre anni dopo l’omicidio, al procuratore Francesco Saverio Borrelli. Nel testo, inquietante, il mittente si dichiarava assassino di Klinger, spiegava di aver atteso tre anni per essere “assolutamente sicuro che nessuno possa risalire a me” e si diceva sollevato per la caduta delle accuse al dottor Pieretti, “che nulla ha a che vedere con la fine, tragica ma giusta, del Klinger”. Che viene definito, in quella missiva senza firma – né, evidentemente, tracce utili alla identificazione del mittente – “anima prava”, un uomo “che si è meritata la fine che ha avuto”.

3 pensieri su “La fine senza un perché (o quasi) del professor Klinger

  1. Milo Rumina i Sassi

    Grazie per il bel articolo, altrove ne parlano in maniera sommaria e confusa .

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