Una effe, un poliziotto, un omicidio sballato

di | 2 Maggio 2018

 

Thomas Barton, per tutti Jim, è un dinoccolato luogotenente della polizia di Springboro, un piccolo municipio dell’Ohio. Sembra un bambinone cresciuto troppo in fretta, un pioppo con gli occhialini e la faccia da adolescente; vive con la moglie Vickie appena fuori città, perché lei ama gli animali e ha desiderato una fattoria con maneggio per i suoi cavalli. Un giorno del 1995, Jim Barton torna a casa dall’ufficio e trova la casa a soqquadro. Telefona al 911 e, in linea con i colleghi, spiega che c’è stato qualcuno in casa loro, che tutto è sottosopra. Finché non arriva in camera da letto e scopre la moglie morta, violentata e uccisa con un colpo alla testa. Sul caso indaga tutta la contea e non succede nulla.  Sembra non esserci una pista: non avevano nemici, non si ha notizia di crimini simili nella zona, dalla casa non manca pressoché nulla. Barton è un uomo mite, gentile, posato; lei è una persona solare, sorridente, con una vita e interessi semplici. Nessun litigio, nessun affare losco, nessuna doppia vita né implicazioni passionali.

Passano tre anni, finché un tizio arrestato per un furto e possesso di stupefacenti confessa alla polizia di sapere chi ha ucciso Vickie Barton. Quando gli inquirenti sentono il nome dell’uomo chiamato in causa, non ci possono credere: Jim Barton. Solo che Jim Barton ha un alibi: al momento dei fatti, era in servizio. Ma questo testimone che pare tutto fuorché credibile, il signor Gary Henson, ha dei particolari da aggiungere. Dice che il suo fratellastro, tale William Phelps, era stato assoldato da Barton insieme a un suo complice per inscenare una rapina. Il luogotenente intendeva spaventare la moglie, che non ne voleva sapere di lasciare quella casa, e finalmente convincerla a traslocare. Solo che il socio di Phelps, forse per darsi coraggio, aveva assunto stupefacenti e si era fatto… prendere la mano, finendo con l’assaltare sessualmente la donna e infine, essendo diventata una testimone, con l’ucciderla.

La polizia non riesce a credere che Jim Barton, o qualunque persona sana di mente, possa aver architettato un finto reato per un trasloco. Ma, a questo punto, gli inquirenti ragionano sui fatti e si rendono conto che quella era stata veramente una rapina simulata, perché non era stato sottratto nulla che avesse un valore. Soldi, gioielli, era ancora tutto al suo posto. A un detective viene un’intuizione: a Springboro, come in molte altre città, esiste una prassi secondo cui il capo della polizia deve avere la residenza entro i confini comunali: la casa dei Barton era appena fuori, e il luogotenente – questo era un fatto pacifico – teneva molto a quella posizione, tanto da essersi candidato almeno una decina di volte ma senza successo.

La seconda intuizione, quella decisiva, fu la scelta di riascoltare per intero la telefonata che Barton aveva fatto al 911. A un certo punto della conversazione, si sente Barton dire chiaramente, con un tono di voce affranto:

«Oh, man… I’ve got to call PHELP, man…» («Oddio… Devo chiamare PHELP, oddio…»)

Nessuno, fino a quel momento, aveva fatto caso alla frase trascritta. La polizia fece analizzare l’audio, il tecnico confermò: Barton pronunciò la lettera F, che in inglese può essere o la lettura, appunto di una F oppure del gruppo PH. Barton disse proprio “felp”. Cioè Phelp(s), con l’ultima consonante che può essere rimasta muta o pronunciata troppo velocemente, o per errore può essere stata dimenticata da chi parlava. Doveva chiamare Phelp, il luogotenente Barton: perché le cose erano andate orribilmente storte, e quella finta rapina utile solo a spaventare la moglie era degenerata in un barbaro omicidio.

Non fu facile avviare l’azione penale contro Jim Barton, che nel frattempo si era risposato. Ci vollero anni. Al processo, si presentò una cameriera che giurò di aver visto nel suo locale Barton e Phelps chiacchierare a pranzo. L’imputato negò sempre ogni addebito. Con riguardo alla frase autoincriminante, egli sostenne di aver detto:

«Oh, man… I’ve got to call f’help, man…» («Oddio… Devo chiedere aiuto, oddio…»)

Solo che “for help”, anche se pronunciato contratto, non produce il suono F. Vennero confrontati altri passi della telefonata, in cui Barton pronunciava parole che iniziavano con H e con F, e la differenza era nettissima: la H di “help”, in inglese, si pronuncia emettendo aria. In più, il concetto che Barton pretendeva di esprimere era poco sensato: era già al telefono con la polizia, stava già chiedendo aiuto e intervento. Non avrebbe avuto senso dire, tra sé e sé, che avrebbe dovuto chiamare aiuto.

La prova schiacciante della colpevolezza di Barton non fu trovata, perché Williams Phelps si era suicidato a pochi mesi da quell’episodio cruento. Il fratellastro sostenne che non si fosse mai ripreso da quel fatto, e che i sensi di colpa finirono per sopraffarlo. In effetti, la polizia indagò su quel suicidio e non vennero trovate spiegazioni esterne a quell’episodio per giustificare il gesto. Phelps non fece mai il nome del suo complice il quale, con ogni probabilità, fu l’assassino di Vickie Barton. Sicuramente ne fu il violentatore, ma il Dna raccolto sulla scena è tuttora impossibile da collegare con qualcuno, non essendo registrato in alcuna banca dati.

Jim Barton venne arrestato nel 2004 e condannato nel 2005 a 11 anni di prigione, per omicidio involontario e rapina aggravata. Venne difeso da tutta la famiglia, compresa la ex suocera che si diceva certa della sua estraneità all’omicidio. Nel 2016, Jim Barton uscì di prigione con un accordo che negli Stati Uniti è noto come Alford plea: in sostanza, alcuni detenuti erano pronti a testimoniare contro Gary Henson, sostenendo che avesse mentito nell’accusare Barton. La procura distrettuale contrattò con Barton per evitare un altro processo, su queste basi: Barton aveva già scontato una condanna che non era inferiore a quella massima teoricamente possibile per il reato commesso; Barton non era obbligato a dichiararsi colpevole; Barton ammetteva che la procura, nonostante i testimoni, avesse sufficienti elementi in mano per ottenere un’altra condanna contro di lui ma che rinunciava a perseguirlo in considerazione della detenzione già scontata.

Il 30 settembre 2016, a 61 anni, Jim Barton è uscito di prigione ed è tornato a casa, accompagnato dalla (seconda) moglie.

 

 

https://youtu.be/UWhIaCAX9zA

 

 

 

 

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