La notte più lunga del sindaco sul Tanaro

di | 26 Novembre 2016

[pubblicato sull’Unità del 26 novembre 2016]

buona-uniIl sindaco Marello ha preso alla lettera il senso di «primo cittadino» e s’è passato la notte in riva al fiume, con l’alogena della Protezione Civile puntata sulla campata centrale del ponte vecchio. Si voltava di continuo verso il Tanaro con gli occhi sbarrati e rispondeva, aggrappato all’ombrello, alle domande dell’inviato del tigì regionale, con lo sguardo del padre che aspetta notizie di un figlio finito sotto i ferri. Alla prima piena della notte, ciascuno pregava i suoi santi: «Qui c’è più acqua che nel ’94: senza gli argini nuovi, Alba sarebbe già a mollo». Al mattino, col ponte chiuso e il traffico deviato in tangenziale, passa la seconda ondata: sei metri e 14, robe mai viste. Dopo l’alluvione del 1994, il fiume aveva toccato il suo massimo a tre e 91. Quella notte erano morte nove persone: due anziani alla casa di riposo nelle camere seminterrate, cinque per strada perché mai avvertite della calamità e poi Richi, il povero bimbo che abitava accanto al viale col sottopasso fatto sbarrare ieri l’altro, ancor prima che diventasse pericoloso. Ai tempi, invece, nessuno aveva dato l’allarme, in città non si capiva cosa stesse succedendo mentre l’acqua iniziava a salire, bagnare le caviglie e le luci a spegnersi, quartiere dopo quartiere. Lui e la nonna erano in cortile, furono travolti dalla piena; rimasero disperatamente aggrappati al cancello di casa, per ore, prima di cedere alla furia del fango. Riccardo Sobrino, ora, è il nome di un parco.

Maurizio Marello - Foto Vincenzo Nicolello

Maurizio Marello – Foto Vincenzo Nicolello

Quella notte del 5 novembre di ventidue anni fa non c’era nulla, né la sala operativa per le emergenze, né la rete di comunicazione tra Arpa e amministrazioni. Internet era un lusso, come i telefoni cellulari: si cavillò per anni su un fax, lasciato a riposare su una scrivania in prefettura da un ragioniere poi finito sotto processo per disastro e omicidio colposo plurimi, col sindaco dei tempi e altri responsabili alla sicurezza del territorio. Non sarebbe cambiato nulla. «Adesso c’è più consapevolezza, comunicare è molto più facile, qui siamo ben organizzati e la macchina ha funzionato. Ma senza quei lavori post alluvione, trenta miliardi di lire per rifare gli argini nuovi, saremmo nei guai: l’acqua ha superato i vecchi di due metri e mezzo, si rende conto?».

Maurizio Marello - Foto di Beppe Malò

Maurizio Marello – Foto di Beppe Malò

Un gioiello della città, l’industria Ferrero, è chiusa per precauzione. Il Tanaro la abbraccia da dietro, con un’ansa a forma di sorriso che quel giorno tracimò, riversando tonnellate di acqua, tronchi e detriti in fabbrica. Dal giorno dopo, si presentarono tremila operai con la pala e il secchiello, organizzati nei medesimi tre turni di produzione, per tirare via quella melma mischiata col cacao della Nutella, che si era insinuata fino a toccare i soffitti degli uffici. Il proprietario, il patron Michele, li accolse coi lucciconi mentre calcolava i danni. Cento miliardi di lire, più o meno. Nello stesso punto, ora, il piazzale che i dipendenti usano come parcheggio è lindo e sembra un giorno come tutti gli altri. Ma è una normalità bislacca: chi ha vissuto la disgrazia di allora, sa che qui si è appena rischiata un’apocalisse e cammina per strada stringendosi nelle spalle, guardando all’insù nella speranza che il cielo si apra come il meteo ha promesso. Sul ponte nuovo, passando accanto allo stabilimento, la gente rallenta per dare un’occhiata al Tanaro che si è fatto impetuoso come un piccolo Niger in piena. Dalla riva opposta è pure esondato, ma è finito ad allagare solo campi e pioppeti. «Meglio ancora, così si sfoga un po’», è la voce del popolo. Niente case devastate, niente feriti. L’altra volta, il corso d’acqua aveva trascinato a valle capi di bestiame, alberi sradicati e il corpo di qualche disgraziato. «Io  nel novantaquattro ero stato alluvionato non una, ma due volte – aggiunge Marello. Il pomeriggio dal torrente Riddone, la notte arrivò il Tanaro».

apertura-copiaIn piazza del Duomo era pure arrivato Berlusconi: atterrando in elicottero, come a San Siro per inaugurare il Milan dei miracoli. Solo che si era preso i fischi dei piemontesi innescati dalla rabbia, stufi di pagare le tasse in cambio di niente, manco un’autostrada per scappare. Era presidente da sei mesi, una volta tanto non ne poteva nulla, promise di pensarci lui ma Umberto Bossi non gliene diede il tempo. Fosse esistita la tecnologia di oggi, uno come il parroco barbuto don Valentino sarebbe diventato un eroe di Facebook e Twitter: nella sua prima omelia dopo i morti, tuonò contro i cattolici da strapazzo che vendevano acqua in bottiglia e stivali di gomma rincarati del 500% e poi osavano avvicinarsi all’altare per fare la comunione. Anche lui non c’è più, come Michele Ferrero. In quei giorni infernali, divenne simbolo della tragedia una ragazza al quinto anno di ragioneria, Debora, che partorì in ospedale a Ceva in mezzo ai feriti, col medico prelevato d’urgenza a casa col canotto a motore, come a Venezia. Venne premiata dalla presidente della Camera Irene Pivetti; oggi, la figlia è più vecchia di quanto fosse la mamma, quando l’Italia parlava di lei. «Era un altro mondo», dice il sindaco Marello, e ha ragione.

In serata, l’allarme si sgonfia. Le scuole rimangono chiuse fino a lunedì ma il ponte albertino è riaperto al traffico, in tempo per il ritorno a casa del venerdì. La gente si ferma a comprare i ravioli del plin e transita mentre il fiume passa con violenza e sommerge ancora gli argini vecchi: vent’anni fa, con la città invasa da una poltiglia che si appiccicava alle strade, ai muri, alle automobili, sarebbe stato impensabile. In sessanta ore, è scesa la pioggia di sei mesi eppure, anche se a denti stretti, ormai lo dicono tutti: «Al’è ‘ndà», è andata, è finita. Il sindaco può chiudere l’ombrello e tornare a casa. Senza fango da spalare, senza morti da contare.

Un pensiero su “La notte più lunga del sindaco sul Tanaro

  1. Simona

    Ricordo il 94 con orrore… abitavo a Roddi ed avevamo ospitato a dormire amici di San Cassiano…lì eravamo al sicuro ma era terrificante il silenzio che si estendeva nella piana di Roddi, interrotto solamente dal suono delle sirene delle auto di soccorso. Questa volta ha dominato sempre lo spavento ma tutto è stato previsto con organizzazione e umanità. Grazie Sindaco Marello

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.